Ho ancora la polvere di strada sulle scarpe e nelle narici il profumo di bosco: il Cammino degli Dei non è solo una linea sulla mappa, ma una trama di riti, emozioni e scoperta.
La partenza, sempre lenta, ha il sapore dell’attesa: dita che sistemano lo zaino, il peso che si sente sulle spalle già a casa, la voglia di lasciarsi tutto alle spalle. Le mani che scorrono tra oggetti indispensabili, qualche talismano di vecchi trekking, la bilancia che ti dice quanto porterai davvero di te stesso lungo il sentiero. Il cuore che batte un po’ più forte. Forse, ogni viaggio comincia proprio qui, dove ancora si è fermi e già si sogna.
Il passo sul terriccio antico, la scala di pietra, la finestra che si spalanca su orizzonti che sembravano solo immaginari. In mezzo, quel respiro che si allarga: la natura ti abbraccia, il verde ti custodisce, il sole disegna sul sentiero una promessa di libertà. Trentamila passi: li senti tutti, ma ognuno ti alleggerisce un pensiero. Il silenzio che si fa musica, la mente che finalmente si libera dalle piccole ansie. Ci sono curve che portano alle sorprese, panorami che non si dimenticano.
Quando la luce cala, il corpo è stanco ma l’anima si sveglia. Chiudo la porta dietro di me – la vera fine della giornata – e incontro il volto riflesso in una finestra da cui guardo fuori con occhi diversi. Quello che rimane, più che la fatica, è il senso di aver riscoperto qualcosa di essenziale. Camminare tra Bologna e Firenze è stato anche – forse soprattutto – camminare dentro me stesso.
Porterò questo ricordo con me, come si portano i sassi fortunati in tasca. E magari, la prossima volta, sarò di nuovo sulla strada, pronto a lasciarmi sorprendere.
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